"Quanto dura l’amore oggi? Perché i nostri nonni sono stati fortunati a non aver avuto i Social..."

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Navigando in rete qua e là, senza meta precisa, col solo intento di “vedere in cosa mi imbattevo”, incontro un post di un blog che mi colpisce per le prime righe, che riporto citando:

"Uno dei motivi per i quali i nostri nonni duravano più di 50 anni insieme, era perché non avevano 3.820 utenti pronti a dispensare pareri, consigli e messaggi in privato di ogni genere.”

Sono incuriosita dalla questione “relazioni di una volta VS relazioni ai tempi dei social”.
Perciò decido di vedere cos’altro scovo in giro.
Ma non solo.
Decido anche di prendermi del tempo per pensare a cosa ne penso io; che idea mi sono fatta, anche tenendo conto delle storie di vita che ascolto ogni giorno nel mio studio.

Per cui mi sale la domanda:
Qual è la ragione che può portare a ritenere che il mondo dei social media, delle “amicizie virtuali”, dei followers ecc, possa avere un impatto negativo sulle relazioni sentimentali - quelle “in carne ed ossa” -  delle persone, insidiandole?

Una tesi in cui mi sono imbattuta, che ad un primo impatto può risultare forse anche superficiale, semplicistica, ai limiti del banalizzante, può venire bene riassunta nel vecchio detto

“l'erba del vicino è sempre più verde”

Ovvero: che tu sia sposato o fidanzato, ci sarà sempre un/una follower capace di vendersi meglio di quella "zavorra" che hai accanto.

È davvero (solo) per questo che molte coppie sperimentano una (o più) crisi lungo il loro cammino insieme?

Perché, almeno nell’ultimo ventennio, “sembra che tutti si lascino, prima o poi…” e che ciò accada entro i primi anni per coppie non conviventi ed entro i 10 anni per le coppie conviventi?

Sempre leggiucchiando in rete qua e là mi imbatto in un altro contributo che riporta:

Al giorno d'oggi, quando un rapporto ha semplicemente qualche lacuna o problema, ci adagiamo sul fatto che abbiamo "più opzioni", più persone a cui facciamo gola.
Con questo falso senso di sicurezza, ci illudiamo di "piacere a molti".

Il punto è che nessuno si batte più per conservare un rapporto.

Che senso ha? Ne trovo quanti ne voglio.
Quante volte in preda a deliri di onnipotenza affermiamo: "ma vattene a f...., ne posso avere 100, 1000 migliori di te."

Una serie di studi ha riscontrato che una relazione seria, nella nostra epoca, a causa del cattivo uso della tecnologia e degli strumenti informatici, dura mediamente 2 o 3 anni.

Perché tutti siamo consapevoli del fatto che sia facile e normale sostituire.

L’ultima frase, ed in particolare modo l’ultima parola, scatena in me immediati interrogativi e riflessioni, sulla parola “SOSTITUIRE”: il suo significato, le sue implicazioni.
Le correlazioni possibili con altre due parole che, personalmente, vedo indissolubilmente legate al discorso “relazione di coppia”, ovvero: “RIMANERE” e “RITORNARE”.

Per spiegare queste riflessioni, e da dove nascono, mi è necessario condividere innanzitutto una premessa, nella quale credo fermamente:

nella vita, e per evolvere, all’Uomo è necessario il MOVIMENTO.

È per questo che concordo con ciò che sostenne durante una lezione un docente che stimo molto, il Dr. Fabio Veglia.
Quel giorno condivise con noi il suo pensiero rispetto alle parole che si usano comunemente nell’ambito delle relazioni di coppia; e il tutto partì dal linguaggio usato per parlare di una coppia come “due che STANNO insieme”. Espressione a lui affatto congeniale e che ritiene, ora, passati i molti anni a fare il terapeuta, addirittura scorretta.

Potrà sembrare bizzarra come cosa, di primo acchito.
Ma ci tengo a condividere il riassunto del suo pensiero in proposito: il verbo “stare” indica una stasi, appunto, qualcosa che “è” e rimane immobile; sta lì, non si sposta.
Ciò va in conflitto con l’esigenza di movimento, dinamismo, insita nella possibilità evolutiva dell’Homo, cui accennavo poche righe sopra.

Qualcuno, forse anche tu, potrebbe maliziosamente proporre che “allora è buona cosa muoversi…da una relazione - che non funziona più molto - ad un’altra”.
Se non sto più bene dove sto, allora mi sposto, mi muovo; cambio.

Ebbene: mi sono trovata a riflettere anche su questo.
E a concludere, concordando sempre col pensiero del Dr. Veglia, che una relazione che funziona non è quella che prevede il “voler stare” (ciò che sopra ho indicato anche con la parola del verbo “rimanere”): una relazione che funziona mi permette di scegliere di voler (RI)TORNARE.

Usare un’espressione come “tornare insieme” suggerisce, oltretutto, meglio l’idea sia del legame che del movimento.
Spiego meglio: ogni giorno, “Noi” ci separiamo, per vivere le nostre vite, là fuori, nel mondo; e rischiare “Noi” e anche il nostro legame (proprio perché gli stimoli e le possibilità “altre”, nel mondo attuale, sono molteplici, ogni giorno). E poi, alla fine, torniamo; e ci ricongiungiamo nel nostro legame; e in quel tornare c’è il movimento, e c’è la scelta. Nonostante ciò che ho, abbiamo, incontrato là fuori.

Mi chiedo se tutte le volte in cui abbiamo sostituito, o siamo stati sostituiti; o le volte in cui pensiamo di potere/volere sostituire; mi chiedo se in queste occasioni c’è la consapevolezza della scelta. E per scelta intendo che vediamo più strade possibili davanti a noi e possiamo valutarne costi benefici e conseguenze. Una scelta libera e consapevole.

E mi chiedo anche se tra le strade percorribili, abbiamo l’idea consapevole di aver impiegato risorse a sufficienza in quella relazione, al punto da poter sentire di volere o meno “tornare” ancora in quel legame.

Spesso nella vita quotidiana di una relazione la stanchezza, l’indolenza, i piccoli grandi rospi ingoiati, i compromessi, la rabbia, e tanto altro ancora, ci fanno vedere solo un grande cartello luminoso con la scritta “EXIT” che lampeggia a caratteri cubitali di fronte ai nostri occhi; lì davanti, a pochi passi. E al solo vederla ci sembra già di riuscire a respirare meglio.

A volte, se non la vediamo noi per primi, qualcuno potrebbe indicarcela, farcela notare, e proporci di “infilare l’uscita assieme”.

Legittimo.

A volte rappresenta davvero la strada più sana e funzionale da percorrere.
Perché si è già tentato, tanto, più volte.
Altre, perché “ormai” non c’è altro da fare.

Qualche volta, prima di arrivare a quell’ “ormai”, ci si può fermare. Fare due passi indietro per guardare da un’altra distanza, un’altra prospettiva. Per non farsi rapire dal senso di urgenza che ci arriva dal senso di (in)sofferenza.

Nella vita c’è solo una cosa che richiede urgenza e immediatezza: respirare.

Per tutto il resto, è possibile, utile, necessario darsi il tempo per sentirsi consapevoli.

Alimentando in parallelo urgenza e malessere, invece, restringiamo il nostro campo emotivo per arrivare nel più breve tempo possibile “alla prima soluzione a disposizione, purché mi faccia stare meglio/bene”.

Può capitare che questa “prima soluzione a disposizione” si manifesti nelle sembianze di un’altra persona.

E ci fa pensare, o decidere, di “sostituire”.

Senza comprendere che se “sostituire” è un’operazione relativamente immediata, “amare” è invece un processo di scelta fortemente mediata; mediata dal lavoro di cura verso quel progetto, nato come congiunto.

Una relazione amorosa è una “cosa seria”.
Ché se è vero che “sboccia da sé”, in modi che ancora non sappiamo del tutto capire e spiegare, è altrettanto vero che non si mantiene nel tempo da sé.
Una relazione, un legame, si vive nella misura in cui la si pensa, la si condivide, la si rinegozia nel tempo, poiché possa seguire il tempo, e le persone che evolvono in quel tempo.

Se l’Amore è una forza di energia allo stato puro, se lasciata libera a sé stessa si disperderà e perderà di vigore e direzione.

La Relazione è quello “strumento” di un percorso che si costruisce e (ri)definisce, mano a mano, per incanalare e “sfruttare” la forza dell’energia del sentimento “amore”.
In tal senso la Relazione è “un lavoro”.
In tal senso la Relazione è una co-responsabilità.
In tal senso una relazione è, e deve essere, “movimento”.
In tal senso una relazione è, e può essere, un luogo al quale scegliere di voler (ri)tornare, più che “una casa fatta e finita nella quale devo, ma non so se voglio ancora, stare”.


Articolo a cura della Dott.ssa
Elisa Fermo
Psicologa Psicoterapeuta a Venezia / Mestre

Dott.ssa Elisa Fermo
Psicologa Psicoterapeuta a Venezia - Mestre

Iscritta dal 2011 all’Albo degli Psicologi della Regione Veneto n. 7918
Laureata in Psicologia Clinica, presso l’Università degli Studi di Padova
P.I. 04494630264

 

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