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Autostima e Autorealizzazione

Mi chiedi qual è stato il mio più grande progresso? Ho cominciato a essere amico di me stesso.
(Seneca)

L’autostima per definizione è la “stima di sé.
Quindi si riferisce alla valutazione che ogni persona fa rispetto a sé stessa.
Possiamo dire che è l’atteggiamento che che ognuno di noi ha verso di sé quando riflette e risponde alla domanda “che persona sono?”.
Tutti i pensieri che portano alla risposta sono il risultato di una “stima”, per l’appunto,  cioè una valutazione nostra che facciamo mettendo a confronto  l’immagine che abbiamo di noi stessi e l’immagine di ciò che si vorrebbe essere (A.W.Pope, 1992).
Maggiore è la distanza tra quello che pensiamo di essere e quello che vorremmo essere, maggiore sarà l’insoddisfazione e il disagio che sperimentiamo.

Poiché per definizione è una stima, non è precisa, vera, oggettiva, in senso assoluto. Non è verità immutabile nel tempo.
Al contrario: si tratta di una valutazione che ha poco a che fare sia con l’obiettività che con la immutabilità.

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Ecco perché capita spesso che persone con scarse abilità ostentino una sicurezza inattaccabile, mentre persone stimate da tutti diffidino di se stesse e delle proprie qualità.
Non solo: la sua natura mutevole spiega anche la ragione per cui bambini/ragazzi/adulti che fino ad un certo punto si sono mostrati persone sicure di sé e delle proprie capacità ad un certo punto si mostrano più fragili, insicure, incerte.
A volte a livelli anche disagevoli per la propria vita quotidiana, che ne può risentire. Come? Per esempio col fatto che per paura, per senso di inadeguatezza, di inefficacia, di non sentirsi all’altezza delle aspettative e della situazione, il bambino/ragazzo/uomo in questione rinuncia, si auto limita, evita. Di “fare cose”, di vivere (certe) esperienze e situazioni.


Perché? Per non dover rischiare il senso di fallimento e inefficacia/inadeguatezza. Cosa che alimenterebbe ulteriormente la già bassa stime di  sé che sperimenta quotidianamente, più o meno manifestamente.

L’autostima funziona dunque come una lente deformante con cui la persona guarda se stessa e le proprie risorse personali, che verranno rimpicciolite o ingigantite.
Ne segue una visione completamente personale, soggettiva, che induce ad azioni e comportamenti corrispondenti

  • bassa autostima = scarsa fiducia in me e nelle mie capacità > questo mi porterà a evitare situazioni in cui queste sono richieste, per il timore di sbagliare o di fare brutta figura (come dicevo sopra);
  • autostima elevata =  consentirsi di sperimentare situazioni che a volte posso essere anche al di sopra delle reali capacità della persona. In queste situazioni il rischio può essere di una caduta a picco della stima personale, dovuta al mancato raggiungimento del risultato/obiettivo desiderato. Nel migliore dei casi, posso mettere in atto un’attribuzione di responsabilità alle circostanze esterne per spiegare i propri fallimenti (“è colpa di [vattelapesca] se non ce l’ho fatta”).

Questi processi non sono indipendenti dalle situazioni che viviamo o dalle persone che ci circondano, elementi importanti nella definizione di noi stessi e del nostro senso d’identità personale.
Il modo in cui penso a me stesso prende origine non solo dallo sguardo di chi mi circonda, ma anche dal modo particolare con cui io interpreto questo sguardo in una determinata situazione o momento di vita.
Questo può essere arma a due sensi:

  • se percepisco che lo sguardo degli altri mi rimanda immagini di me come di una persona debole, fragile, da proteggere ed accompagnare ad ogni passo - altrimenti c’è il rischio che cada e si faccia male - potrà alimentare una autostima bassa, fragile;
  • se percepisco che lo sguardo degli altri mi rimanda l’immagine di me come di una persona con qualità positive, con strumenti/capacità/competenze a vari livelli, potrà alimentare e rafforzare un senso di autostima adeguato o elevato per la persona stessa.

Il secondo caso si può rivelare ottimo strumento di cambiamento: infatti, una persona che fino ad un certo punto della sua vita ha sperimentato bassi livelli di autostima può essere sostenuta (ad es. durante un percorso di sostegno psicologico/psicoterapia) nello sperimentare nuove situazioni e nuovi contesti, anche sociali/relazionali, che le rimandino un’immagine di sé nuova e più forte, contribuendo a (ri)costruire una stima di sé adeguata al benessere personale.

Identità e autostima sono costrutti in continuo mutamento, sta a noi scegliere la direzione in cui mutarli.

Come già accennavo qualche riga fa, l’autostima è un fattore psicologico che è anche molto connesso al senso di autoefficacia, ovvero quanto mi sento in grado di fare/non fare una determinata cosa, di portare a termine un compito/lavoro, di affrontare o meno con successo una determinata situazione.

Può sembrare banale (ma ti assicuro che non è così..), ma è come una spirale, che a seconda della direzione può trascinare verso il basso o far risalire la vetta:

  • se mi sento sicuro di me come persona, penso di poter affrontare con successo determinate situazioni/”sfide” che mi si presentano;
  • poiché penso di farcela, “mi ci butto” e le affronto;
  • ottengo lo scopo prefissato, quindi il risultato dell’esperienza è positivo
  • sperimento con soddisfazione il sentimento di avercela fatta, quindi vivo un sentimento di autoefficacia.
  • In questo modo ottengo altri due risultati:
    - mi sento una persona realizzata (autorealizzazione)
    - alimento positivamente la mia autostima

E il cerchio si ripete e si alimenta ad ogni esperienza che faccio.

Attenzione: non significa che mi sento infallibile come un dio o un supereroe...la possibilità di non farcela o di sbagliare esiste, e può essere dietro l’angolo. La differenza la fa il pensiero alla base delle esperienze che “non andranno come avrei voluto”. Ovvero? Significa che se in un’occasione non riuscirò ad ottenere il risultato voluto, non vedrò la situazione come un momento svalutante e squalificante “me come persona”; non annullerà o minerà ciò che so di me, tutto quello che ho costruito nel definire chi sono e cosa so/posso fare ed essere. Sarà un’esperienza che potrà insegnarmi che le mie risorse mi hanno portato fino ad un certo risultato, e che posso trovarne o costruirne di altre che mi permettano di farcela la prossima volta. Significa non dirsi “sono un fallito” bensì “stavolta ci ho provato ma non ci sono riuscito; ora so cosa devo fare di diverso per riuscirci. Ho la consapevolezza dei miei mezzi e delle mie risorse. Ci riproverò per riuscirci.”

“Nessun può obbligarti a sentirti inferiore senza il tuo consenso.”
(Eleanor Anne Roosevelt)


Elisa Fermo
Psicologa Psicoterapeuta a Venezia / Mestre

Dott.ssa Elisa Fermo
Psicologa Psicoterapeuta a Venezia - Mestre

Iscritta dal 2011 all’Albo degli Psicologi della Regione Veneto n. 7918
Laureata in Psicologia Clinica, presso l’Università degli Studi di Padova
P.I. 04494630264

 

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